Forse c’è il tramonto. Forse il Sole è già basso, lì, da qualche parte. Si intravede una donna in bikini con un cappellino in mano o forse un racchettone da spiaggia.
Con lei due ragazzini. Tra la sfocatura si possono percepire risate e parole. Dietro, una persona, forse una donna, ferma dentro l’acqua che le arriva alle spalle: unico elemento più nitido.
Tutto si concentra su di lei, è un punto di convergenza e di arrivo, è soprattutto a lei a cui dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. Perché? Ancora più in fondo, un orizzonte di traverso, ricalcato dall’indecifrabile, posizionato forse come una nave. Forse. “Opera 2” non è un film di quelli che si vedono al cinema d’essai, “Opera 2” è un’opera fotografica che si dà tutta insieme in un istante, e malgrado l’apparente staticità, riesce a creare una narrazione nella nostra mente che può durare il tempo di un minuto, di un’ora o restare. Carmine Fiore con grande intuito fornisce allo spettatore quel tanto di chiavi di lettura, per poi magari togliergliele subito dopo, in un andirivieni di segni e sensi.
Inquadrature consapevoli e difettose per cogliere la vita, la quotidianità che difficilmente è perfetta, dove tutto appare in bilico: sporcato da emozioni, da sensazioni, dal Sole che pieno di luce coglie all’improvviso, e fa stringere gli occhi. Busti di donna tagliati, uomini di spalla che corrono sulla sabbia immaginaria che scotta, imperfetti anche loro, senza una bellezza canonica ma comune fisicità e gestualità, bellezza a volte sola e a volte stanca. Protagonisti colti nei propri tuffi, nell’esistenza del loro essere ordinari, nella mancanza di messa a fuoco: con-fusione di pensieri e vita che segnano il corpo e la mente, anche di chi guarda. Tratti segnici del contenuto e della forma dell’immagine fotografica che si compenetra al r-esistere individuale e collettivo. Momenti da spiaggia, di quelli banali, che in ogni estate abbiamo davanti, Carmine Fiore li osserva e li coglie, intrappolandoli tra la trama di miliardi di pixel, fermandoli eppur facendoli fluire in uno standby che dura, per sempre?
Campo visivo ampio che si apre all’orizzonte che, seppur all’interno obbligato dell’in-quadratura, riesce ad espandersi dal supporto materico per continuare all’infinito, cosa rara, cosa che riesce solo a chi per davvero è un artista e riesce a creare il “fuori campo”, ad alludere a ciò che non è concretamente all’interno dell’immagine, eppure c’è, nella nostra mente che si fa guidare da Carmine Fiore e cullare dal nostro immaginario.
Un artista deve farci entrare in un punto di osservazione più ampio rispetto al nostro ceco modo di vedere, ha il difficile e coraggioso compito di farci vedere “meglio” e di sorprenderci, e le sorprese con le opere di Carmine Fiore sono tante man mano che ci accompagna ai livelli sempre più profondi dell’osservare.
Ma tutto questo non è per tutti, l’artista è infatti piuttosto selettivo, non gli interessa un fruitore qualunque per le sue opere, vuole solo chi ha la voglia, il tempo e l’imprudenza di andare oltre, di guardare e guardare ancora, perdersi tra le linee di un corpo o di un mare, scavare per entrare nel suo mondo sensibile: punti di messa a fuoco improvvisi, obliquità e caducità, linee e contorni del mondo animato o inanimato che si moltiplicano, tutto per costringerci a fare un processo di ricomposizione, ri-creare l’insieme dei tratti e dei significati dell’immagine.
Incomunicabile è l’aggettivo che esprime la poetica di Carmine Fiore che, forzando e spostando i limiti, produce opere mai didascaliche e autoreferenziali, che spronano chi guarda a lasciarsi andare e a decodificare tutti gli elementi compositivi e formali per accedere al proprio mondo esistenziale. Quando il mondo interiore del fruitore entra in compenetrazione con il mondo dell’artista, solo a questo punto, si accede all’incomunicabile che diviene comunicazione potente e che emozionalmente sovrasta. Le opere della serie “dhcmrlchtdj” spostano ancora più in là questa incomunicabilità che diviene comunicazione, infatti l’artista fornisce ulteriori elementi di lettura per entrare nel suo sguardo, parole scritte e riscritte fino a perdersi, cancellandone il significato: trappole di segni alfabetici che perdono il loro senso, trattenendo a malapena le proprietà e l’estetica grafica, per andare in un altrove dove le parole diventano orizzonti, visi, gabbie, tratto d’unione di ponti e punti.
Non è importante la tecnica, di cui non c’è mai l’abuso di effetti o ridondanze di genere, è anche probabile che per realizzare alcune sue opere Carmine Fiore abbia usato software o applicazioni che facilmente si scaricano on-line, non deve interessare nemmeno che obiettivo abbia usato per gli scatti, nemmeno quali siano le caratteristiche della macchina fotografica utilizzata, perché Carmine Fiore riuscirebbe a fare arte anche con una macchinetta usa e getta: è talento che si esprime e si realizza attraverso una poetica potente e fuori dal comune.
Carmine Fiore: Incomunicabile.
di Pamela Cento